Pmi, autonomi e risparmi: ecco la nostra risorsa
Ciò che sta accadendo nell'economia italiana e in quella dell'euro e nei paesi Ocse rompe gli schemi tradizionali. Di colpo dalla deflazione, ossia dalla crescita negativa o nulla dei prezzi, in pochi mesi siamo balzati nell'inflazione. Nell'area Ocse, che contiene tutti i paesi industrializzati, il tasso medio di inflazione è al 5,2% in ottobre, contro il 4,6 di settembre e lo 1,2 dell'ottobre 2020. Nell'area euro, che ha una tradizione di prudenza monetaria, il tetto dovrebbe essere il 2-2,5%: siamo al 4,1 in ottobre contro il 3,4 di settembre e lo 0,3 nel 2020 che era deflazione, in quanto inferiore allo 0,5-0,7 che è attrito. Tradizionalmente, l'autorità monetaria fa salire i prezzi gradualmente, cioè «governa» la moneta. Invece le è sfuggita di mano. Un noto teorema che riguarda il rapporto fra politica monetaria e fiscale dice che quando c'è una inflazione che l'autorità monetaria non riesce a controllare, interviene la politica del fisco, che aumentando le imposte blocca l'inflazione e può generare deflazione, se esagera la dose: come è accaduto, con il governo Monti in Italia e con il Fondo monetario internazionale in Grecia che sbagliarono i calcoli fiscali in eccesso. Ma ora la politica fiscale dell'euro, quella del dollaro, quella della sterlina non hanno attuato la manovra restrittiva, ma la manovra opposta, per combattere la crisi dovuta al Covid, che ha imposto molte chiusure di attività e perciò ha creato «capacità produttiva inutilizzata». Questa la si può utilizzare senza generare inflazione, «con un debito buono».
Però ci sono le «strozzature», ossia carenze di certe materie prime e semi lavorati. Alcune si risolvono con una nuova offerta e l'inflazione si ridurrà. Ma l'offerta di energia è limitata dalla politica ecologica ed ambientale riguardante petrolio e gas. I prezzi dell'energia in pochi mesi nell'Ocse sono aumentati del 24%: al top dal 1980. L'ambientalismo fanatico di sinistra dice sempre no. Ma ciò fa aumentare le bollette delle famiglie, che chiedono e ottengono un indennizzo, per ragioni di equità distributiva. La carenza di energia dipende anche da guerre calde e fredde fra paesi produttori e con i paesi consumatori.
Berlusconi, l'unico leader con le idee chiare in materia, sostiene che in attesa di raggiungere l'autonomia con le energie rinnovabili artificiali e il nuovo nucleare sicuro e senza scorie radioattive, occorre utilizzare gli idrocarburi e sterilizzare la loro anidride carbonica con la riforestazione che distrugge anidride carbonica. Interi continenti e subcontinenti sono stati disboscati da abitanti che non hanno altro mezzo per campare. Per i paesi ricchi il finanziare questi paesi per la riforestazione costa poco. Inoltre occorre utilizzare l'acqua per produrre energia idroelettrica. In interi continenti e sub continenti l'acqua non viene preservata e canalizzata, ma si disperde per incuria o costi che le comunità a basso reddito non possono sostenere. Ma investirvi per chi ha i mezzi genera reddito.
Il Pil nell'eurozona cresce più della media Ocse. E in Italia più che nella media euro, perché la crescita è trainata da export e investimenti. Le nostre piccole e medie imprese, il lavoro autonomo qualificato sono un sistema agile e diversificato, che si presta al rilancio, in situazione anomala e la nostra elevata propensione al risparmio genera investimento. Facciamone tesoro.
Sforbiciatina alle tasse
Tagliati 8 miliardi di imposte, tolta un'aliquota Irpef. Resta la stangata oltre i 50mila euro di reddito, ma i sindacati protestano.
L'intesa sulla riforma fiscale riguarda un compromesso distributivo sulle aliquote Irpef. Ciò che manca è invece una revisione dei metodi di accertamento, per cui oggi è il contribuente a dover provare la propria innocenza, soprattutto per gli studi di settore e il catasto. Né sono stati affrontati il principio contributivo puro per le pensioni, il groviglio di addizionali e tributi locali, i problemi per il mercato immobiliare creati dalle imposte di registro del 9% sui trasferimenti. Si perpetra inoltre un'altra stortura: continuare a considerare «ricco» chi guadagna 50mila euro l'anno.
Questo modesto compromesso sulle aliquote è metodologicamente errato, perché non tiene conto del fatto che le minori aliquote generano più gettito. Ciò è particolarmente vero per le aliquote sopra il 35%: il tetto a cui si ferma la progressività effettiva in Germania, Francia, Usa e Regno Unito. L'aliquota del 43% non esiste in alcun Paese libero e genera gravi distorsioni, è sproporzionata. Solo stipendi e pensioni di lavoro molto qualificato cadono sotto il 43%. Per questo Berlusconi pose il tetto al 33% quando scese in campo. Una scelta che avrebbe un effetto positivo sulla crescita del Pil e un maggior gettito. Più alta è la pressione tributaria e maggiore l'evasione, con operazioni in nero e il ricorso a «paradisi fiscali» dentro l'euro (Lussemburgo, Olanda, Irlanda) e fuori (Vaticano, Svizzera, Regno Unito, Isole del Pacifico, America).
In un Paese con una ampia evasione stimolata dall'eccesso di peso fiscale e dal dirigismo nel mercato del lavoro, la riduzione di aliquote ha ampi effetti sul gettito. È stata ignorata la teoria di Einaudi secondo cui l'ottima imposta non è quella neutra, che non esiste, né la redistributiva, perché questo compito spetta alla spesa pubblica, ma quella con effetti favorevoli per la ricchezza e per il prodotto nazionale. Ottima è l'imposta che rispetta il risparmio e premia la produttività: due grandi assenti al tavolo di ieri.
La rivincita dei Pigs sui Paesi frugali
Sino a poco tempo fa nelle cronache si leggevano con frequenza le prediche dei rigoristi e dei frugali a noi Pigs, ossia portoghesi, italiani, greci e spagnoli, per rammentarci il rispetto delle regole fiscali e di economia industriale e per censurare i nostri «aiuti di stato». Da ultimo, ci è stato rimproverato che non rispettiamo le regole sulla concorrenza, per spiagge e stabilimenti balneari con annessi alberghi e ristoranti, per gli appalti delle opere pubbliche, per i prodotti agricoli e via cantando. Ora che c'è il Recovery Plan, il ritornello dei rigoristi e dei frugali si concentra sulla parola «riforme», che include tutte quelle prediche come pregiudiziale alla erogazione dei fondi. E ci è venuto da Berlino, da Vienna, da Amsterdam l'avviso che, tornando la normalità, dovremo rientrare nei banchi, perché la ricreazione è finita. Senonché, erano «parole, parole, parole». Finché si trattava d'insegnare il rispetto delle buone regole a noi, popoli latini a Sud delle Alpi, loro erano esemplari. Ma quando si è trattato del virus a casa loro, dove è finita questa disciplina sociale, questa capacità di stabilire le buone regole? In Danimarca, ove è al potere il partito della sinistra radicale di Margarethe Vestager, che ci rimprovera il lassismo negli aiuti di stato, è mancato il rigore nelle regole e nel loro rispetto nella lotta al coronavirus: che ha rialzato la testa, in modo minaccioso. Ora è stato stabilito il green pass per alberghi, ristoranti, eventi vari. Nell'Austria, leader dei «frugali», è stato stabilito il lockdown anche per i vaccinati, perché i contagi sono fuori controllo. In Germania, il paese dei rigoristi della Bundesbank, la Banca Centrale, la curva dei contagi sta salendo a un ritmo che impressiona, soprattutto per il numero di morti, ieri a quota 248. Anche da noi salgono i contagi, ma i morti in Italia sono 56, nella media settimanale. Con il rapporto della Germania fra morti e popolazione, noi ne avremmo 180. Il fatto è che Draghi, con la sua campagna vaccinale, ha rilanciato l'economia in modo insperato perché ha realizzato una quota di vaccinazioni pluri-dose per abitante, che nessun altro paese ha. Per questo, gli italiani credono in Draghi, come capo di un governo di unità nazionale e lo vogliono in questo ruolo, perché c'è bisogno di lui come generale che vince la guerra contro il drago del virus.
A 10 anni dal "golpe" Monti riscrive la storia: "L'Europa ci soffocava"
Oggi decorrono dieci anni da quando il governo Berlusconi è stato defenestrato e sostituito da quello del professor Mario Monti, nominato per l'occasione, senatore a vita, dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ex leader dell'ala dei riformisti del PCI. Uso il termine defenestrato perché il voto sfiducia con cui Berlusconi dovette dimettersi non riguardava la legge di bilancio, per gli anni successivi, ma il rendiconto del bilancio consuntivo un documento contabile, non operativo, la cui bocciatura implica di rettificare dati errati se vi sono. Ma la sfiducia era derivata da assenze involontarie dal voto. Il ministro dell'Economia del governo Berlusconi, Giulio Tremonti, la cui legge consuntiva si discuteva, era uscito in quell'attimo dall'aula per una disattenzione o una necessità fisica. Nel regolamento del Senato, in ogni votazione, su qualsiasi tema, l'assenza dall'aula, mentre si vota, vale come voto contrario. Il senatore Bossi della Lega, era alla bouvette e le condizioni fisiche gli impedivano di correre nell'aula. Anche se si volesse sostenere che Tremonti non credeva alla propria contabilizzazione del passato, ciò non comportava la sfiducia sulla sua manovra di bilancio, ma la revisione di dati passati.
La nomina di Monti a senatore a vita, da parte del presidente della Repubblica, non dopo svolto l'incarico di governo, come riconoscimento di lavoro fatto giudicato degno di passare alla storia, bensì prima che la iniziasse, ha lasciato la sensazione che lo si volesse battezzare come uomo della provvidenza, per un compito d salvatore della patria, mediante la politica del rigore del bilancio. Ma il governo di Mario Monti, sbagliò il rigore, andando troppo in alto, oltre i pali superiori, come il calciatore Jorge Louis Jorginho, nel suo calcio di rigore della nazionale italiana contro la Svizzera. Questo sbaglio per eccesso-anziché metterci in sicurezza per i mondiali, ci ha inguaiato. La politica di rigore di Monti, con la tassazione patrimoniale sugli immobili sbagliata per sua natura e comunque per eccesso, ha fatto cadere il PIL A ciò si è aggiunta la legge Fornero sulla pensione obbligatoria a 75 anni, che ha creato disagio sociale e sfiducia perché le norme erano retroattive, ledendo i diritti di pensionamento stabiliti in precedenza. Mentre il Pil calava, per il rigore sbagliato, la spesa corrente era aggravata dagli indennizzi del governo per gli esodati: lavoratori pensionati nel frattempo senza l'età della nuova legge. Il declino del PIL italiano in termini reali, cioè al netto dell'inflazione, fu di 2,3 punti nel 2012 e di altri 1,9 nel 2013. In totale di 4,30 punti. Dal 2014 al 2019 il Pil è cresciuto di +0,1 nel 2014, di +0,8, nel 2015, di + 0,9 nel 2016, di +1,6 nel 2017, di + 0,9 nel 2018 e di + 0,3 nel 2019 prima della pandemia. Così i governi di sinistra e il governo 5 stellato hanno generato un recupero di PIL di solo 3,6 punti. Dunque quando - secondo la vulgata - vi era il peggio dovuto a Berlusconi il Pil era più alto di un punto di quando si sono installati nel potere i miglioratori. Quando c'era Berlusconi, cioè il peggio , nel 2011, il debito pubblico era al 120% del PIL Nel 2019, culmine dei governi dei miglioratori, il rapporto debito/PIL era arrivato al 134,8: un peggioramento di 15 punti in 10 anni.
Berlusconi aveva semplificato gli investimenti con la legge obbiettivo; con la legge Biagi aveva reso più flessibile il mercato del lavoro; con i contratti di produttività voleva rilanciare la crescita e ridurre le crisi aziendali. Alla pensione sociale da lui introdotta è stato sostituito il reddito di cittadinanza. Berlusconi voleva la flat tax. Ora c'è il rischio del catasto patrimoniale. Si stava meglio quando si stava peggio!
Adesso anche Monti lo ammette, ma sul Corriere della Sera scrive che non è colpa sua. Bensí di Draghi, che non fa le riforme. Il quale con la zavorra dei miglioratori è impantanato in mezzo al guado: da cui potrà uscire con gradualità.
Il 30 ottobre del 1961, 60 anni fa moriva Luigi Einaudi.
Il 30 ottobre del 1961, 60 anni fa moriva Luigi Einaudi. La notizia mi giunse mentre aprivo una sua lettera, in cui mi comunicava che la mia chiamata di successore, nella cattedra nell’Università di Torino era stata votata all’unanimità. Poiché si sentiva poco bene la sua relazione era stata scarna. Me ne chiedeva venia. Nel febbraio del 1961 nella telefonata in cui mi si annunciava che ero stato scelto da Einaudi come suo successore, mi si informava che la delibera sarebbe stata posticipata all’autunno , perché l’estate a Torino, per lui, era tropo calda e lui voleva essere il relatore. Nel frattempo, Einaudi desiderava incontrarmi a Roma. Io ero da poco rientrato in Italia dagli USA con mia moglie Carmen, incinta. Avevo 31 anni e Carmen 29 Da due anni accademici risiedevamo negli USA, ove insegnavo come professore associato all’Università di Virginia Avevamo accolto con grande gioia la notizia che Einaudi mi aveva scelto come suo successore. Egli mi ricevette a Roma, in estate, nella villetta a due piani con giardino, in una zona verde, distante dal centro. La signora Ida, la gentildonna moglie di Einaudi, che controllava le giornate del marito, onde non si affaticasse, aveva stabilito che l’incontro sarebbe durato un’ora. Einaudi per darmi il “benvenuto” mi ricevette, in piedi, appoggiato al bastone, sulla soglia del giardino. Sorridendo mi disse “sono un mostro di 87 anni”. Poi si sedette su una poltrona, a fianco della porta, nel verde. Il primo dovere a cui avrei dovuto adempiere, era di risiedere a Torino con la mia famiglia Non dovevo fare la spola da altre città, come spesso fanno i professori. La residenza della famiglia a Torino mi era richiesta anche perché dovevo dirigere Laboratorio di economia politica, in cui la presenza del direttore è necessaria anche nelle giornate in cui egli non insegna, ma coordina le ricerche e le riunioni. Nelle mielezioni io non avrei dovuto usare il suo libro di testo di “Scienza delle finanze”. Non era riuscito a fare un’opera sistematica. Ci aveva supplito con saggi e libri su singoli temi (a me venivano in mente soprattutto i “Miti e Paradossi della Giustizia tributaria”, il volumetto sull’Unione europea, Le “Lezioni di politica Sociale”, “le Prediche inutili) . A me il compito di fare un manuale sistematico. Poi aggiunse che alcuni suoi colleghi avevano obbiettato alla sua scelta del successore, che io non ero un puro studioso, facevo anche il giornalista. Einaudi disse che, per lui, quello non era un difetto, Lui aveva fatto il giornalista, sin dall’inizio della sua carriera., come me. E continuava a farlo, con gli articoli domenicali nel “Corriere della Sera”, intitolati “Prediche della domenica”. Facendo il giornalista, il professore a dà alle teorie un’applicazione pratica, comprensibile alla gente comune, come le prediche del parroco. Mi venivano in mente due “Predica della domenica” del gennaio, che avevo letto su “Il Corriere” quando ero in America, che riguardano la città brutta e la città bella. La città brutta è fatta di casermoni, in cui vivono individui che non formano una comunità perché ci sono imposte patrimoniali sull’edilizia, che rincarano i centri abitati e mancano strade e piazze in cui ritrovarsi. Invece nella città bella, ove le tasse sulle case sono moderate e ci sono buoni servizi, c’è una comunità. di persone. Donna Ida Einaudi mi disse che l’ora era terminata. E poi solo la lettera breve, del 30 ottobre per riaprire il dialogo che io da allora continuo, con Einaudi.
Anche la Borsa fa il tifo per Draghi premier
Le diatribe dei partiti e nei partiti, dopo le elezioni locali e gli eventi internazionali hanno oscurato una notizia finanziaria che fa meditare. L'agenzia di rating Standard e Poor's - una delle tre maggiori, assieme a Moody's e a Fitch - ha alzato l'outlook, cioè la previsione sull'Italia da «BBB stabile» a «BBB positivo», che comporta «BBB+», gradino appena sotto ad «A-», con cui si entra nella prima classe, quella privilegiata dagli investitori. Il giudizio favorevole è però collegato a un grande «se»: vale se Draghi rimane al governo per tutto il 2022. Poiché nel febbraio del prossimo anno si eleggerà il Capo dello Stato, ciò implica che se il governo attuale viene meno, noi retrocediamo a «BBB», un livello solo di poco sopra il margine di sicurezza. Ci sono buone ragioni per cui S&P dà l'Outlook solo con un «se». Esso è collegato all'impegno dell'esecutivo Draghi a portare avanti le riforme pro-crescita sia quest'anno sia per tutto il prossimo, con una ripresa spinta dagli investimenti nel 2021 che si rafforza e si consolida nel 2022. Così il Pil dell'Italia alla fine del prossimo anno potrà superare il livello del 2019, con 12 mesi di anticipo rispetto alle previsioni, giustificando il giudizio positivo.
La chiave per ridurre gli elevati livelli del debito pubblico, che è ora al 160% del Pil - dice S&P - sta nella crescita della stessa economia. Ma se la spesa corrente rimane nella stessa percentuale sul Pil, non si riesce ad aumentare la quota degli investimenti che invece aumenterebbero il prodotto interno lordo, riducendo il peso del debito pubblico. L'aumento della pressione fiscale, per trovare le risorse per gli investimenti, infatti, frenerebbe la crescita. Occorre che la spesa corrente non cresca in volume assoluto, ma diminuisca, per lasciar spazio agli incentivi agli investimenti, come la riduzione del cuneo fiscale dell'Irap. Dunque - evidenzia S&P - occorre che il governo Draghi rimanga in tutto il 2022, per varare il suo «ambizioso programma di riforme». Questo include obbiettivi non facili da realizzare: il superamento di Quota 100 sulle pensioni e la minimizzazione della spesa per il Reddito di cittadinanza, che, come ha notato il presidente di Confindustria Bonomi, nel bilancio di previsione per il 2022, è aumentata di un miliardo, portandosi ai 17 annui. Draghi deve riuscire a trovare i miliardi per abrogare l'Irap, senza aumentare i tributi che riducono il risparmio e per abbassare l'aliquota di Irpef che induce a spostare all'estero il lavoro qualificato. E deve attuare le semplificazioni per gli investimenti per fruire del Recovery Plan. Ergo Draghi, stando al «se» di S&P, per fare il bene per l'Italia deve governare per tutto il 2022 onde varare le riforme, rinunciando, per questo turno, al Quirinale.
Distensione sociale sulle tasse
Una nuova rottamazione delle cartelle fiscali è necessaria per tre fondamentali ragioni, tutte urgenti e fra loro connesse. Serve alla pace sociale, serve alla semplificazione, nel groviglio di norme in vigore, serve al rilancio dell'economia.
Occorre iniziare da questo aspetto, che appare attualmente, erroneamente trascurato o ignorato. La crescita italiana si sta indebolendo. Rispetto all'ultimo aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza) le più recenti previsioni mensili segnalano un meno 0,1 di Pil (cioè del prodotto nazionale). Sono intervenute difficoltà e incertezze di vario genere, non ultima quella creata dalle manifestazioni anti covid, con episodi di violenza e minacce di scioperi. C'è l'incertezza sui costi dei tamponi a carico delle imprese, che per le piccole e medio piccole è un onere non indifferente, dopo un periodo di bilanci negativi o magrissimi. Ecco, dunque, che vi è la necessità di un rilancio dell'economia, dopo le crisi economiche e finanziarie della pandemia.
Nel Medio evo e nelle epoche successive sino al Seicento, dopo le pestilenze, vi era un condono, che era motivato - appunto - dalla esigenza di ricucire le ferite. Ed è questo che bisogna fare, anche perché fra le incertezze che si sono create, ci sono quelle connesse al bisogno di pacificazione.
C'è chi protesta, ritenendo di avere diritto a lavorare senza vaccinarsi, perché la Repubblica è fondata sul lavoro ha torto. Ma non tiene conto del fatto che il diritto al lavoro degli altri è menomato dal suo comportamento. Ma se a questa protesta sbagliata si somma quella di chi riceve la cartella della riscossione dell'Agenzia delle entrate perché non rientra nella fascia sociale, s'accresce la tensione sociale nelle aree ove c'era già e s'estende ad aree ove essa non c'era. Al contrario se la rottamazione delle cartelle viene ampliata, si genera un prezioso fattore di distensione.
Last but not least, cioè ultimo ma non più piccolo argomento, occorre semplificare. A abbiamo un groviglio di norme che riguardano diritti alla rottamazione pregressi, che forse sono ancora fruibili o forse no. Questo ginepraio burocratico si aggiunge a quelli riguardanti lo sblocco delle opere pubbliche, a quelli per i potenziali titolari di green pass vaccinati con vaccini validi in altri Paesi ma non nel nostro, al controllo della fruizione del reddito di cittadinanza e, da ultimo, all'esigenza di maggiori controlli per prevenire gli infortuni sul lavoro. Occorre semplificare, semplificare per ripartire e non perdere lo slancio.
GREEN PASS/ Forte: il Pil in calo porterà Draghi all’obbligo vaccinale
GREEN PASS/ Forte: il Pil in calo porterà Draghi all’obbligo vaccinale
Le proteste e i blocchi dei portuali contro il green pass potrebbero portare Draghi a varare l’obbligo vaccinale per salvare il Pil
Oggi scatta l’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro e sono già state annunciate manifestazioni e agitazioni contro tale imposizione sia a Roma che al porto di Trieste. Non è da escludere che ci possano essere blocchi in altri scali portuali italiani. Secondo Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, le agitazioni dei portuali costringeranno il Premier Draghi a virare verso l’obbligo vaccinale. «Si tratta di un provvedimento che finora non si è potuto adottare perché nel Movimento 5 Stelle c’è una base no vax e anche la Lega, come Fratelli d’Italia, che però è all’opposizione, non lo accetta.
La campagna affidata a Figliuolo ha dato buoni risultati, ma c’è ancora fascia di persone che non si è vaccinata anche perché c’è stata una campagna contro AstraZeneca che ha avvantaggiato i vaccini mRna, ma ha danneggiato l’immagine complessiva dei sieri».
Visto che, come ha detto, la maggioranza non è compatta su questo punto, Draghi dovrebbe forzare la mano?
Non ha molta scelta, sarà la situazione economica a spingere Draghi a forzare la mano. La crescita del Pil, infatti, comincia a perdere colpi e se si bloccasse il porto di Trieste o si fermassero altre attività a causa dei no green pass sarebbe inevitabile un altro rallentamento dell’economia, anche perché il mercato del lavoro continua a essere rigido. Inoltre, nel medio lungo termine verrebbero favoriti gli scali portuali di altri Paesi. Si tratterebbe di un grosso problema da affrontare immediatamente, assumendosene anche i rischi: sarebbe il momento del Draghi del whatever it takes.
E la maggioranza resisterebbe a questo passaggio?
Penso di sì, perché si sarebbe di fatto costretti a introdurre un obbligo vaccinale, con le responsabilità che ciò comporta per lo Stato. Ovviamente si dovrebbe dare tempo a tutti di effettuare le due dosi e quindi, una volta effettuata la prima, andrebbero assicurati i tamponi gratuiti in attesa della seconda. La gratuità dei tamponi dovrebbe permanere per quei lavoratori impossibilitati a vaccinarsi per ragioni fisiche in base a una certificazione dell’unità sanitaria di base o per gli stranieri che devono venire in Italia per un periodo molto breve di lavoro. A mio modo di vedere, inoltre, chi ha ricevuto le dosi di Sputnik, Sinovac o Reithera andrebbe considerato vaccinato.
Saremmo però l’unico Paese in Europa con un obbligo di questo tipo…
Altrove non c’è una Costituzione come la nostra, in base alla quale nel campo della sanità bisogna tener conto degli effetti sociali del proprio comportamento. Il diritto alla salute di ciascuno non può menomare quello degli altri. Questo perché la Costituzione italiana, a differenza di altre, ha un’impostazione da economia sociale di mercato. L’obbligo vaccinale quando è necessario è quindi giustificato dalla Costituzione, com’è avvenuto per la prima infanzia, anche in passato. Andrebbe stabilito opportunamente da quale età questo obbligo dovrebbe scattare, ma sicuramente riguarderebbe la fascia di età dei lavoratori. Ovviamente andrebbe esentato chi per ragioni fisiche non può vaccinarsi.
E chi rifiutasse di vaccinarsi andrebbe licenziato?
No, ritengo che il rifiuto a vaccinarsi non dovrebbe rappresentare un motivo valido per il licenziamento. In una situazione complicata come quella attuale non andrebbero adottati provvedimenti simili. Tuttavia, il lavoratore andrebbe messo in Cassa integrazione o sospeso senza retribuzione.
(Lorenzo Torrisi)
Il trucchetto sui vani che può svilire il mattone
Ogni anno, in questa epoca, il Consiglio dei ministri si riunisce per approvare la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e finanza o Nadef (acronimo delle quattro parole del suo titolo), che viene varato in estate - prima delle ferie - e che ha per scopo di stabilire le grandi linee in cui si deve muovere la manovra di finanza pubblica di fine anno, per quanto riguarda il livello del debito pubblico in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil) e il livello del deficit del bilancio dei tre anni successivi, ossia il 2022-2023 e 2024, nonché il livello della pressione fiscale in rapporto al Pil.
Questo autunno ci porta una pessima notizia, ossia la riforma del catasto, che potrebbe generare una stangata per la proprietà immobiliare, mediante due operazioni-trucco: il passaggio dai vani ai metri quadri, assumendo come immobile campione un appartamento dell'ultima generazione, che ha la cucina soggiorno e camere microscopiche; facendo entrare in gioco anche gli ingressi e i corridoi, che con il catasto per vani non erano considerati e non si comprende perché dovrebbero esserlo ora, dato che non fanno parte dell'abitazione.
Va anche aggiunto che questo aumento di onere per la proprietà immobiliare colpisce il ceto medio e medio piccolo, che investe in immobili per avere un reddito sicuro; danneggia le famiglie con più figli; genera una particolare ferita alla tutela degli immobili storico artistici, i quali hanno vani ed ingressi molto più ampi di quelli attuali ed invita i loro proprietari a trascurarne la manutenzione, in modo da generare una situazione in cui, a causa di cedimenti e mancati restauri, essi possono essere trasformati in edifici funzionali ultra moderni. Che intende fare il ministro dei Beni culturali di fronte a ciò?
L'aumento della tassazione degli immobili ne ridurrebbe il valore e ciò danneggerebbe anche le banche che li hanno a garanzia dei crediti. L'industria edilizia subirebbe un grave danno perché, invece che investire, si disinvestirebbe nel mattone. Non è vero che quando un catasto è vecchio esso va aggiornato. Nella teoria di Luigi Einaudi è vero il contrario. L'ottima imposta basata sul catasto, esonerando le migliorie, premia la produttività. I valori catastali, pertanto, debbono riflettere quelli del passato. E ciò vale sia per il catasto agricolo che per quello edilizio.
Di fronte a ciò impallidiscono le buone notizie riguardanti la crescita del Pil che era stata stimata al 4,5% e sale al 6%, con 1,5 punti in più: un tesoretto di circa 22-23 miliardi. Se non fossero spesi, ma fossero impiegati per migliorare il bilancio, ciò comporterebbe una diminuzione del deficit/Pil 2022 dal 5,6% al 4,4%; al 3,9% nel 2023 e al 3,3 nel 2024. Il debito però, nonostante il miglioramento del deficit (anche se ancora sopra il 3%), rimarrebbe a un livello mostruoso, che dipende in parte dalla pandemia, ma soprattutto dal modo con cui si sono comportati i governi Pd al potere dal 2012 sino a due anni fa.
Con Berlusconi, nel 2011, il debito/Pil era al 111%, giudicato eccessivo. E peraltro, con una manovra di graduale cessione all'economia di mercato di beni del patrimonio pubblico, esso poteva scendere attorno al 100% del Pil. Invece, coi governi a guida Pd il debito/Pil è arrivato al 134%. E ora viene stimato dalla Nadef al 153,5%, mentre nel Documento di economia e finanza dell'estate era il 155,6%. Il miglioramento, dovuto alla crescita del Pil maggiore del previsto, è notevole. Ma con un debito sopra il 150% siamo ancora sull'orlo del burrone.
Il governo Draghi pende troppo a sinistra, come si vede non solo dalla proposta sulla proprietà immobiliare, ma anche dalle concessioni eccessive ai 5 Stelle per il reddito di cittadinanza e la nazionalizzazione di Autostrade per l'Italia (che andava punita, ma non tirata fuori dal suo contratto) e al Pd, che ha caldeggiato questa soluzione e ha sostenuto una linea pericolosa di nazionalizzazioni anche per l'Ilva di Taranto, assegnata a Invitalia. L'impresa pubblica potrebbe avere una quota del 20% e il resto potrebbe essere di imprese private italiane, specializzate nella decarbonizzazione della produzione di acciaio. Il governo non ha neanche trasformato Ferrovie dello Stato e Anas in imprese che si finanziano sul mercato, così riducendo il ricorso al debito pubblico. Un programma liberale qui non si vede.
SCENARIO/ Forte: dopo il voto tedesco l’Italia rischia senza Draghi a Palazzo Chigi
In Germania i Liberali puntano al ministero delle Finanze. L’Italia per respingere i diktat pro austerità di Berlino ha bisogno di Draghi a palazzo Chigi
L’esito delle elezioni tedesche rende probabile la formazione di un’alleanza di governo tra Spd, Verdi e Fdp. Olaf Scholz dovrebbe certamente concedere delle caselle chiave nel futuro Governo agli alleati ed è noto che i Liberali puntino al ministero delle Finanze. Altrettanto nota è la loro posizione favorevole all’austerità. Per l’Italia non è certo una buona notizia. Ancora di più, spiega Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, per la Francia: “L’Italia, infatti, compensa in parte il suo elevato debito pubblico con il risparmio privato e una bilancia dei pagamenti in attivo su cui la Francia non può contare. In ogni caso nel nostro Paese bisognerebbe mettere fine alla stagione delle misure costose privilegiando gli investimenti: un messaggio negativo per Pd e M5s”.
Il risultato delle elezioni tedesche non sorride quindi all’Italia?
In realtà, rispetto ad altri momenti del recente passato, potremmo avere una situazione migliore. Infatti, la coalizione che si prefigura in Germania sembra essere fragile, anche perché la Cdu-Csu, destinata ad andare all’opposizione, non è uscita fortemente sconfitta dal voto. Credo abbia pagato un logoramento dovuto a tanti anni di governo e il non essere riuscita a trovare un vero leader. Tutto questo significa che i “diktat” che arriveranno da Berlino, complice anche la mancanza di un vero leader Ue, potranno essere respinti purché in Italia ci sia una strategia seria e positiva a livello europeo. Per capirci, non si potranno finanziare in deficit spese correnti come il Reddito di cittadinanza.
Dunque ci vuole Draghi a palazzo Chigi?
Se proprio dovessi scegliere vorrei Draghi a capo della Commissione europea, perché l’Ue sta diventando sempre più debole a livello mondiale. C’è bisogno di una politica internazionale, fiscale, monetaria e di una gestione non burocratica degli organi comunitari e penso che Draghi potrebbe cambiare il volto dell’Europa se la guidasse. A quel punto avrebbe un compito più facile chiunque fosse al Governo in Italia. Per arrivare a quell’incarico (il mandato di Ursula von der Leyen scade nel 2024, ndr), l’attuale premier non potrebbe però nel frattempo essere salito al Quirinale. Dunque credo sarebbe meglio rimanesse a palazzo Chigi per combattere questa battaglia anti-austerità e diventare il principale leader europeo.
Draghi dovrebbe cercare qualche alleanza, rendendo magari ancora più stretti i rapporti con la Francia?
In realtà in Francia l’anno prossimo potrebbe esserci un altro presidente. Nel frattempo non credo emergerà una chiara linea del nuovo Governo tedesco sull’Europa. Dunque Draghi potrebbe cercare di suggerire delle linee e, dato il vuoto di leadership europea che c’è, a causa anche del futuro incerto dell’asse franco-tedesco, cercare di dare un indirizzo generale che potrebbe attrarre molti consensi tra i vari Paesi europei.
Nel frattempo dovrà però tenere a bada i partiti della sua maggioranza…
Sì. L’esito delle amministrative ci darà un’idea su quelle che potranno essere le pressioni dei partiti. Intanto le elezioni tedesche, checché ne dica Letta, non hanno portato un messaggio positivo per la sinistra italiana.
Cosa intende dire?
Che risulta evidente che la sinistra in Germania per governare ha bisogno di allearsi con un partito (l’Fpd) che è a dir poco di centrodestra, ma a me sembra più di destra, in quanto ha un programma non di economia sociale di mercato o di economia neoliberale, ma di austerità economica abbastanza datato, tradizionale, tipico dei Paesi frugali che sono conservatori. Dunque se la Spd per governare ha bisogno della destra, questo non è un bel messaggio per Letta. Invece per il centrodestra la sconfitta della Cdu-Csu è un invito ad assumere una posizione positiva nell’Ue per colmare il vuoto che si creerà nel Ppe. A Lega e FdI converrebbe quindi diventare europeisti costruttivi, anche in questo modo l’Italia potrebbe assumere la leadership in Europa.
(Lorenzo Torrisi)
Ora c'è il rischio che tornino i falchi
I sondaggi elettorali non sono mai infallibili, ma quelli della Germania mostrano che il partito di centrodestra Cdu-Csu è crollato sotto il 25 per cento e non è in grado di fare una coalizione di centrodestra, con i socialdemocratici in minoranza. Invece i socialdemocratici possono fare una coalizione a maggioranza di sinistra, mettendo insieme il loro 24-25 e i Verdi, che sono il 14-15 per cento. Ma anche nel migliore dei casi, un ipotetico ma molto aleatorio coinvolgimento della sinistra estrema della Linke, a loro manca l'8%, che darebbe comunque luogo a una maggioranza risicata. Ecco così che debbono imbarcare, in posizione minoritaria, ma decisiva, i liberali della Fpd, che hanno un 11%. Essi costituiscono un ago della bilancia, facendo da contrappeso alla Linke e ai Verdi, che sono più a sinistra della Spd, la socialdemocrazia tedesca, che è, tradizionalmente, un partito moderato di centrosinistra. I liberali tedeschi invece non sono un partito moderato di centro come Forza Italia e i liberali inglesi, ma un partito di «falchi» rigoristi, come e più dei cinque premier dei Paesi cosiddetti «frugali». Ossia i due liberali conservatori, Sebastian Kurz, premier austriaco, e Mark Rutte, premier olandese, e i tre premier socialdemocratici di Svezia, Danimarca e Finlandia. La Spd, per bocca del suo leader, chiede il cancellierato, mentre i Verdi pretendono il ministero dell'Ambiente e altri dicasteri rilevanti per la battaglia climatica e per la salvaguardia del pianeta. È dunque naturale che i Liberali tedeschi chiedano - come hanno puntualmente fatto anche in sede di campagna elettorale - il ministero delle Finanze.
L'obiettivo è spostare l'ago della bilancia di Bruxelles in tre direzioni destinate a crearci seri problemi, forse al punto da mettere in discussione quella forte ripresa del Sistema Italia che già quest'anno si tradurrà in una crescita del Pil prossima al 6 per cento. Per avere contezza di quanto la partita sia delicata, basta pensare agli interventi in corso per le imprese in crisi, come Alitalia e varie altre, che vengono denominati aiuti di Stato illegittimi. Alla politica monetaria della Banca centrale europea, che fa interventi di acquisto di debito pubblico italiano per una quota maggiore di quella che noi rappresentiamo nell'euro, con il nostro Pil, perché più a rischio, dato il nostro elevato debito pubblico. Al Recovery Plan, in cui riceviamo una quota maggiore di quella che ci toccherebbe, basandosi soltanto sul criterio del Pil, perché abbiamo il Sud che è meno sviluppato del Nord.
Solo Draghi, l'unica figura di spicco rimasta in Europa, dopo il pensionamento di Angela Merkel, ci può difendere dal «falchismo» e dall'integralismo cieco nelle politiche di bilancio dei «frugali». Ma non sarà facile, anche perché loro ci invidiano la crescita differenziale del Pil e il nostro successo nel commercio estero, che dipende in larga misura dal progresso tecnologico delle nostre grandi imprese, la cui competitività dà fastidio.
La sconfitta definitiva della Trimurti sindacale
La Cgil e la Cisl e la Uil dopo tante manifestazioni di protesta, con minaccia di scioperi contro il green pass nelle mense aziendali e nelle imprese, ha chinato la testa al Decreto di Draghi. Negli anni '70 senza il consenso della trimurti sindacale nazionale a guida Cgil nulla si poteva fare nell'economia e nella politica italiana. Ci volle la marcia dei 40mila quadri, ossia lavoratori a livello intermedio, della Fiat, a Torino nell'ottobre del 1980, per mostrare che la trimurti non era invincibile, ma la battaglia per il taglio di punti alla scala mobile fatto da Craxi per bloccare l'inflazione a due cifre che portava alle stelle il tasso di interesse sul debito pubblico, che si concluse nel 1984 col decreto di San Valentino non fu facile. Nella Seconda Repubblica la trimurti sindacale ha ripreso il potere di veto in ogni campo, facendo un patto di ferro con la Confindustria nazionale, politicizzata dalla presenza delle imprese pubbliche.
La Cgil alla guida del sindacato nazionale, col suo potere politico ha ottenuto il monopolio del mercato del lavoro, tramite il Job's Act, che ha eliminato la legge Biagi sul lavoro para subordinato e i contratti di produttività e marginalizzato i contratti a termine e i part time. Il decreto Dignità li ha tartassati. La trimurti sindacale ha ripreso a svolgere un ruolo politico, in ogni campo, come se fosse un gruppo politico del parlamento, composto di tre partiti, di cui uno la Cgil, collegata al Pd, agisce da guida. L'abitudine al negoziato su tutto della trimurti sindacale, come gruppo parlamentare esterno, è diventata endemica. Così si spiega il fatto che i leader sindacali, in particolare Landini della Cgil hanno svolto una battaglia sui green pass sia dei lavoratori del pubblico impiego e in particolare della scuola, sia delle industrie e dei servizi. Ciò non è diritto del lavoro, ma sicurezza sanitaria, in base alle norme costituzionali sul diritto alla salute, di cui all'articolo 32 della Costituzione che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività.
La competenza per le pandemie, ovviamente, in base a queste norme spetta allo Stato e alle Regioni. Non si capisce per quale motivo il sindacato abbia titolo a discutere della sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro e nelle mense aziendali. Perché dovrebbe poter discutere se i vaccini siano necessari e se i No Vax abbiano diritto a credere che questo obbligo sia stabilito a beneficio delle grandi case farmaceutiche?
La risposta è che avevano preso la cattiva abitudine di negoziare su tutto, come una forza politica extraparlamentare. Ma ora hanno trovato di fronte una testa dura, quella di Mario Draghi. E la trimurti sindacale ha chinato il capo, perché è al suo tramonto, essendo oramai da tempo un antiquato organismo burocratico, che si occupa di pratiche per le pensioni e dichiarazioni dei redditi. Il sindacato, se vuol vivere, deve tornare a decentrarsi e ad occuparsi di ciò che gli compete.
Una riforma per tre mostri da abbattere
Si sta vociferando di riforma fiscale. Nella nebbia sul progetto ufficiale, si profilano tre mostri, che appartengono alla categoria che Luigi Einaudi chiama «l'imposta taglia», ossia quella decisa unilateralmente dal fisco di cui il contribuente non sceglie e non conosce la contropartita, per sé e per la comunità. Sulle orme di Einaudi, il premio Nobel dell'economia James Buchanan, chiama l'imposta taglia «Leviatano fiscale», come il mostro della leggenda che divora chi entra nel lago in cui esso vive. Il primo dei tre mostri, che sembra si stia concretizzando, è l'imposta patrimoniale occulta sugli immobili derivante dalla riforma del catasto immobiliare, che non si baserebbe più sul numero di vani, ma sui metri quadri. La riforma di un sistema di accertamento dovrebbe essere a invarianza di gettito, perché esso è lo strumento per applicare l'imposta, fermi restando i servizi erogati. Si tratta di Imu e di Tari, per i rifiuti. Invertendo il rapporto fra mezzo e fine, si genera un tributo patrimoniale occulto. Il suo livello dipende da due fattori. Il primo è la dimensione del vano standard considerato. Se essa è di 10 metri quadri e i vani veri, mediamente, sono invece di 15 metri quadri, il mostro Patrimoniale occulta è pari al 50% in più di Imu e Tari. L'altro fattore della dimensione del mostro è dato dai metri quadri di ingressi e corridoi, che il catasto sui vani non tassa. Il secondo mostro contro cui si deve combattere si chiama Irap, ossia Imposta regionale sulle attività produttive, creata alla fine degli anni Novanta. Esso grava sul costo del lavoro autonomo e dalle società ed enti di ogni specie, che va pagata anche quando la ditta non ha utile, bensì perdita. Il mostro Irap si aggiunge ai contributi sociali dovuti per la pensione, gli infortuni sul lavoro, la disoccupazione e altre provvidenze sociali e colpisce il lavoro, mentre la disoccupazione è al 9%. Andrebbe svuotato diventando un'aggiunta all'aliquota Irpef e all'imposta sulle società. Ma l'Irpef è il terzo mostro, gonfio di progressività eccessiva. Per il progetto governativo il taglio di aliquote Irpef che esso prospetta va coperto con taglio di spese o aumento di tributi. Il progetto nega l'esistenza della curva di Laffer benché statistiche e indagini econometriche dimostrino che essa esista, insieme con i suoi effetti. Ciò specie se si toglie la rigida regolamentazione del mercato del lavoro e se si minimizzano gli oneri fiscali e parafiscali sui contratti di produttività. La produttività per addetto e quella per ora lavorata in Italia sono di media più basse della media europea, mentre 20 anni fa erano maggiori. Il mostro Irpef diventerebbe un mostriciattolo se si accettasse la cedolare secca sugli immobili commerciali, al 22% che farebbe emergere la materia imponibile degli affitti in nero, come è accaduto per la cedolare secca sulle abitazioni. E se coi contratti di lavoro di produttività, a fiscalità minima, si raddoppiasse l'utilizzo degli impianti e dei macchinari, avremmo molti più occupati e perciò più reddito. Le imprese sarebbero più efficienti. E il fisco così recupererebbe lo sconto fiscale.
I benefici del "Contratto di produttività"
Luigi Einaudi, in pagine memorabili per la loro lucidità e attualità, ha scritto che l'imposta ottima non è quella che non distorce il mercato, perché ciò nella realtà non è possibile, ma quella che lo distorce in meglio, vale a dire l'imposta orientata alla produttività, che egli, al suo tempo, indicava con vari modelli storici. Il concetto-base è accrescere la componente del capitale umano rispetto al capitale materiale, adottando un esonero totale o parziale dal tributo quando col lavoro e l'intrapresa si accresce il rendimento del capitale fisico. Se si guardano i dati della crescita del Pil in Italia e il livello della disoccupazione in Italia, si nota una grande discrasia. La crescita del Pil supera il 4%, è la più alta in Europa, ma la disoccupazione è al 9% e il nostro tasso di inflazione supera il 2%, come se avessimo il pieno impiego. Del resto, in non pochi settori e casi vi è carenza di manodopera. La produttività in Italia è molto bassa rispetto all'impiego dei capitali fisici che sono utilizzati prevalentemente nei giorni feriali, nelle ore diurne, con pause e assenze. I pensionati, se decidono di lavorare in modo legale, sono costretti a pagare i contributi sociali per la nuova pensione anche se già ne hanno, mentre presumibilmente non sono in grado di usufruire della seconda, se non per pochissimi anni, in quanto il diritto alla pensione matura dopo 15 anni di contributi. Così mancano elettricisti e altri esperti, che potrebbero dare un prezioso contributo al lavoro qualificato. Aboliti i contratti della legge Biagi, i giovani che potrebbero fare un lavoro parziale parasubordinato non hanno modo di effettuarlo. La tassazione dei contratti a tempo parziale e di quelli a termine, volta a scoraggiarli, invece che generare lavoro col posto fisso, genera disoccupazione, perché l'epoca attuale è caratterizzata da fattori dinamici, che rendono spesso impossibili i contratti con il posto fisso. Le crisi aziendali , spesso, richiedono ristrutturazioni, che possono avere un buon risultato solo se si fanno contratti aziendali di produttività, con esonero quasi totale dalle imposte e con contributi sociali molto ridotti. Lo stato incasserebbe meno imposte e meno contributi, ma su una platea di lavoratori più ampia. E spenderebbe assai meno in casse integrazioni. Il lavoratore che sottoscrive un contratto di produttività, che comporta turni di lavoro nei giorni festivi e in orari serali e notturni, consentirebbe di massimizzare l'impiego degli impianti ma - per far sì che ciò sia conveniente all'impresa - dovrebbe contentarsi della retribuzione ordinaria. Ma avrà uno sconto fiscale che lo ripagherà della rinuncia. Il fisco recupererà il gettito con la maggiore occupazione, che crea più consumo. Il sindacato aziendale, in tutto ciò, avrà un grande ruolo, costruttivo. Occorre sostituire il contratto di produttività al diritto garantito del reddito di cittadinanza, che è l'esatto contrario e genera nuova povertà.
Così non aiutano chi lavora
«Nella società liberale, il sindacato ha una funzione sociale contro lo strapotere dei datori del lavoro; dà ai lavoratori la dignità, che loro compete, di persone libere». Lo ha scritto, in pagine memorabili, Luigi Einaudi, nel libro La Bellezza della lotta, pubblicato nel 1924, quando il fascismo era al potere. Nell'introduzione, Einaudi scrisse che il sindacato si stava burocratizzando e stava emergendo un modello neo corporativo, quello che il fascismo fece suo, ma è ben diverso da quello che ha dilagato dagli anni '70 in poi dando luogo all'ingessatura del mercato del lavoro e agli scioperi nei servizi pubblici. Il movimento sindacale, che è fermo a quella stagione, si sta frazionando in corporazioni sindacali settoriali e perde l'unico aspetto positivo che aveva il suo modello neo corporativo, quello della unità sindacale. Il sindacato della scuola sostiene che gli insegnanti possono scegliere se vaccinarsi o no, perché è un diritto culturale. La sicurezza degli alunni sarebbe garantita con i tamponi, che lo Stato deve erogare gratis e i direttori degli istituti dovrebbero far fare ai docenti sforniti di green pass. Dove è finito lo spirito sociale, per cui la lotta sindacale è fatta a favore dei più deboli? Gli alunni non sono forse i deboli, che rischiano il contagio? Ma la socialità di questi giganti egoisti non riguarda l'aiuto dei più forti ai più deboli, ma solo a chi ha la tessera sindacale. Maurizio Landini, leader della Cgil si concentra invece sulle fabbriche. Poiché il green pass non è obbligatorio ma facoltativo, i lavoratori hanno diritto a presentarsi al lavoro senza il passaporto vaccinale, anziché restare a casa senza retribuzione. Ci devono pensare i dirigenti delle aziende a evitare i rischi dei contagi. Il sofisma che Landini usa è grezzo: sono a favore di una legge che obblighi al green pass, se il governo non la fa vuol dire che lascia libertà di scelta. Un altro sofisma anche per il pass nelle mense aziendali: è illegittimo perché esse non sono ristoranti. Ma ciò riguarda il regime fiscale. Le norme edilizie considerano le mense aziendali come ristoranti. E sono particolarmente affollati, perché la pausa mensa è breve. Come ha detto il presidente della Confindustria Carlo Bonomi, nell'intervento al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, la condotta dei sindacati rischia di frenare la ripresa e la creazione dei nuovi posti di lavoro. Questi sindacati sono solo dinosauri dell'epoca neo corporativa, mentre fuori c'è un mondo globale.